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Tazzulella con Marco Bentivogli

Ai giovani dico: “ricordatevi che il vostro mondo è adesso, uscite dalle liste di attesa, scontentate chi vi ha messo in panchina”.

Marco Bentivogli nasce a Conegliano, in Veneto, nel 1970. Sposato e papà di una ragazza di undici anni, Emma, è coordinatore di Base Italia, una “start up civica” che vuole portare il Paese fuori dalla “notte della politica” e “battere il populismo col popolarismo”.

Figura centrale del sindacato italiano degli ultimi anni, è stato segretario generale della Federazione Italiana Metalmeccanici (FIM CISL) dal 2014 al 2020 facendosi interprete di una nuova stagione nei rapporti tra lavoratori e imprese in un momento in cui relazioni industriali e ruolo politico del sindacato erano in sofferenza.

È a Pomigliano che accade ciò che lo porterà definitivamente alla ribalta. Marchionne chiedeva ai sindacati di accettare un nuovo contratto, più figlio dei tempi, per rilanciare lo stabilimento. La FIOM CGIL di Landini si opponeva mentre la sua FIM CISL era favorevole e, infatti, al referendum (tra i lavoratori) del giugno 2010, il SI alla proposta di Marchionne vinse con il 63% dei voti.

Ha firmato uno dei contratti più innovativi nella storia delle relazioni industriali italiane, quello del 2016, che ha introdotto il diritto soggettivo alla formazione, rilanciato il decentramento contrattuale e creato il fondo di welfare sanitario più grande d’Europa.

Spirito innovatore e fautore della modernizzazione del Paese che passa necessariamente da fabbriche 4.0 e politica credibile, è autore di numerosi libri (l’ultimo è “Indipendenti. Guida allo smart working” edito da Rubettino) e un giocatore appassionato di padel. È componente della Commissione del MISE e del Gruppo di Lavoro della Pontificia Accademia delle Scienze sull’Intelligenza Artificiale.

Ha tenuto tutti noi sulle spine visto che tra novembre e dicembre ha contratto due volte il covid.

Bentivogli, come sta adesso?

Meglio, sto recuperando bene.

Avendola vissuta direttamente, e in maniera diversa, quali sono i pro e i contro nella gestione sanitaria dell’emergenza che ha potuto cogliere?

L’interfaccia con il cittadino è il punto più fragile. La sanità territoriale, come prevedeva la riforma del 2012 e 2016, è rimasta su carta e le case della salute, presidi territoriali aperti h24 e sette giorni su sette, non esistono. Non solo, i protocolli che suggeriscono i medici generici provengono da passaparola e non da un’organizzazione seria che indichi come gestire, prima dell’ospedalizzazione, sintomatologie, monitoraggio e prime cure.

Ci vuole descrivere qual è stato il suo percorso personale e professionale, partendo dagli studi?

Diploma di informatico, laurea in scienze politiche indirizzo economico dal 1988 al 1994, periodo in cui alternavo lo studio al lavoro che era molto spesso precario e non in regola. Il servizio civile e il lavoro nell’organizzazione del Network Giovani Metalmeccanici e poi sulle politiche contrattuali dei giovani. Sono stato quindi operatore di zona a Bologna per poi entrare in Segreteria provinciale. Dopo tre anni in cui sono stato segretario ad Ancona e nelle Marche, sono approdato nel 2008 alla segreteria nazionale della Fim Cisl divenendone Segretario Generale dalla fine del 2014 al luglio 2020. Ora il mio impegno civile e politico lo dedico alla costruzione di una start up civica, Base Italia, mentre quello più professionale alla creazione di un Fraunhofer italiano, lavorando in squadra con i più forti centri di eccellenza sull’innovazione tecnologica che hanno costituito InnovAction. Allo stesso tempo, do il mio contributo come Workitect, lavorando su innovazione tecnologica e competenze e loro trasferimento, e sulla rigenerazione degli spazi del lavoro, della produzione e del territorio in un quadro di progettazione dell’accelerazione degli ecosistemi territoriali.

C’è un episodio nella sua carriera che l’ha segnata di più?

Ne ho molti. Una volta lavoravo al McDonald’s e avevo sbagliato il bicchiere con cui il personale poteva dissetarsi. Il responsabile di quel turno mi maltrattò davanti a tutti mandandomi a svuotare, da solo, il compattatore, ovvero il locale al piano interrato dove confluiva tutta la spazzatura della giornata e che di solito in due/tre persone si portava, a fine turno, davanti al marciapiede.

Dal punto di vista sindacale ne ho due. Il primo riguarda sicuramente l’assemblea che si è svolta davanti a undicimila lavoratori e lavoratrici Ilva il 27 luglio 2012, all’indomani del sequestro dell’area a caldo. Poi, il secondo riguarda la firma del Contratto Nazionale del 2016. Sono stati, tra i tanti e per motivi diversi, i due momenti che non dimenticherò mai.

Come spiegherebbe il sindacato a una ragazza, un ragazzo di oggi?

Vuoi essere più libero e più forte nel lavoro, organizzati nel sindacato. Ho avuto la fortuna di fare sindacato in un posto molto bello, la Fim-Cisl, sempre sensibile a mettersi in discussione affinché ci si avvicinasse a essere il luogo pubblico delle aspirazioni dei giovani.

Cosa dovrebbe essere oggi il sindacato tenendo conto anche della dinamica del lavoro che cambia? Esprime ancora una leadership nel Paese?

Il sindacato deve essere come un’azienda di successo dell’ICT. Deve investire in innovazione e deve agire tenendo insieme, sempre, emergenza e prospettiva. Oggi tutta la rappresentanza è in difficoltà, guardate i partiti. L’attività delle RSU e dei territori è ancora molto forte. È un buon segno perché bisogna lavorare su due piani, lavorare per due salti di qualità delle relazioni industriali. Decentramento della contrattazione a livello aziendale e territoriale e partecipazione alla gestione strategica d’impresa.

Nella carta dei valori fondanti di Base Italia c’è scritto: “L’Italia deve tornare a crescere. La crisi che il nostro Paese sta attraversando non è solo economica: è anche civile, sociale e morale”. Un ruolo decisivo in questa partita è giocato dalla politica. In quella di oggi cosa manca?

La politica ha spento il suo motore fondamentale: la passione civile dei cittadini e la loro partecipazione. Si occupano di politica gli ambiziosi che la vedono come un ascensore sociale e gli ultrà che la degradano a scontri di tifoserie ignare di qualsiasi contenuto. Manca la qualità, la cultura, l’esperienza e, lasciatemi dire, le relazioni umane dei gruppi dirigenti di un tempo.

E nei cittadini cosa manca invece?

I cittadini si sono rassegnati e arresi all’indignazione davanti ai talk e ai social e tutto questo ha prodotto rabbia e rassegnazione. Sono energie che vanno portate alla costruzione, altrimenti ampliano il distacco, l’astensione. La polarizzazione che abbiamo visto negli Stati Uniti ha portato ad aumentare la partecipazione al voto anche grazie ad una mobilitazione diffusa dei Democratici. In Italia, invece, cresce il disincanto, l’astensione.

La crisi generata dal covid è diversa per genesi e immediatezza nei tempi di impatto rispetto a quella del 2007-2008. Quest’ultima ha generato, tra le altre cose, l’avanzata e l’affermazione dei populismi anche per via di un ruolo giocato male dalle decisioni della politica (europea su tutte). Oggi sotto questo punto di vista, con il Next Generation EU, le cose sono diverse. Cosa vede nel medio-lungo termine per l’Europa? Cosa accadrà sul fronte populismo-sovranismo?

Il populismo ha generato al momento politiche in nome del popolo contro il popolo. La Brexit ne è un esempio, Bolsonaro un altro. Sono Paesi in grande difficoltà. L’Europa è lenta e deve cambiare passo. Va anche detto che alcuni cambiamenti a livello europeo non hanno avuto alcuna conseguenza diretta in Italia. Andrebbe riconosciuto che il Next Generation Eu nasce dal riconoscimento, a livello europeo, delle difficoltà di tutti ma in particolare del nostro Paese. Su salute, scuola, lavoro, economia siamo quelli che probabilmente pagheranno il prezzo più alto. L’Europa ci chiede due cose a cui il nostro Paese è allergico: rendicontare con rigore le spese riferite a obiettivi chiari e vincolanti e fare le riforme della pubblica amministrazione, fiscale, le semplificazioni, la concorrenza, la digitalizzazione. Sono cose che necessitano di un Governo forte e con le idee chiare. Quanto al populismo, credo che la sconfitta di Trump segni un cambiamento di fase. Purtroppo, nel nostro Paese, i contenuti demagogici del populismo hanno contagiato un po’ tutte le forze politiche e questo è un guaio in primis per il lavoro, per l’industria.

Industria 4.0 e impatto sul lavoro. Perché non bisogna aver paura della tecnologia e delle sue conseguenze?

È l’assenza di tecnologia a creare disoccupazione. Le aziende che innovano hanno più profondità, prospettive più solide in termini occupazionali e di competitività. Sono le aziende che attraggono i giovani. Esiste un indicatore: la densità della robotica avanzata per abitante. Ebbene, i primi 4 Paesi in testa alla classifica, non a caso, sono quelli anche a più bassa disoccupazione.

Cosa consiglia a un giovane italiano sul piano personale e professionale?

Di non ascoltare la parte di adulti che spiegano che il futuro sarà una catastrofe. Al netto delle cose che non vanno, il nostro pianeta è al contempo il luogo dove milioni di persone si impegnano per risolvere i problemi e creare un futuro migliore. Non accettate che il nostro secolo sia un nuovo medioevo dove regnano paura e incertezza. È l’epoca della nostra storia in cui l’umanità ha più opportunità di tutti i tempi. Si tratta di farle diventare opportunità per tutti.

Per cui, primo: ricordatevi che il vostro mondo è adesso, uscite dalle liste di attesa, scontentate chi vi ha messo in panchina. Secondo: conservate e custodite sempre la vostra libertà interiore, investite sul vostro lato più incontendibile con algoritmi e macchine, la vostra cultura e soprattutto la vostra umanità.

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Scritto da Vincenzo Lettieri

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