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Il Premio Coraggio 2019 a Sinisa Mihajlovic

Va a Sinisa Mihajlovic, classe 1969,la prima edizione del Premio Coraggio 2019.

Va a Sinisa Mihajlovic, classe 1969,la prima edizione del Premio Coraggio 2019. La Fondazione Quarto Potere e il quotidiano torinese CronacaQui, che lo hanno istituito, hanno deciso di assegnarlo all’allenatore del Bologna che sta lottando contro la leucemia “per l’intrepida forza con cui ha affrontato la malattia, esempio fulgido per chi vive un momento difficile della propria esistenza”.
Il Premio è stato assegnato al tecnico felsineo, ex allenatore del Torino, con il sostegno degli ex calciatori granata Renato Zaccarelli, Claudio Sala e Marco Ferrante e in collaborazione con lo psichiatra Alessandro Meluzzi e il vicepresidente dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte, Ezio Ercole.

Durante la sua prima uscita pubblica, ai microfoni di tanti giornalisti accorsi si è raccontato per un’ora e mezza a ruota libera, sotto la visiera di un cappello rosso che solo a volte permetteva di nascondere le lacrime. Sinisa Mihajlovic, dopo il trapianto, affiancato dai medici che l’hanno curato in questi mesi, si è aperto a tutti i presenti. Noi di “Real Inside Magazine” abbiamo raccolto così tutte le sue dichiarazioni che ha lasciato ai nostri colleghi giornalisti. Abbiamo. Così trascritto il suo messaggio di speranza: 

Mia moglie è stata sempre con me, ogni giorno in ospedale, è l’unica persona che conosco ad avere più palle di me.                                                                    

Alcuni bambini malati mi hanno mandato i loro disegni, qualcuno anche un videomessaggio a cui ho risposto. Mi hanno dato tanta forza. Non puoi battere la malattia solo con il coraggio, servono le medicine. Devo prendere 19 pillole al giorno. Alcune sono così grosse che sembrano supposte. Ho perso 13 chili la prima volta che ho fatto la chemioterapia, 9 la seconda. I dottori? Ho capito subito che ero finito nelle mani giuste.                               

Quando sono andato in campo a Verona ero in uno stato umano non presentabile. Sembravo un morto che camminava, ero 72 chili. Mi girava la testa, ma l’ho dovuto fare per dimostrare che amavo il mio lavoro e l’ho fatto soprattutto per la gente che mi ha voluto bene.

Come ho detto il primo giorno: ho rispettato la malattia, ma l’ho affrontata come faccio sempre, a testa alta. Nei giorni del trapianto non potevo parlare alla squadra, ho avuto tra i 39 e i 40 di febbre per due settimane. Sapevo che ne avrebbero risentito.                                                                                                                       Oggi ho un’età in cui non posso farmi nuovi amici, ma la malattia mi ha fatto ritrovare quelli che avevo perso, anche se non era colpa mia. Quando ero dentro pensavo un giorno per volta, poi ti guardi indietro e scopri che sono diventati venti e ti fai forza.

Ho scoperto che molti colleghi della serie A vorrebbero assegnarmi la panchina d’oro – Se è per il mezzo miracolo che abbiamo fatto l’anno scorso, mi fa piacere. Se è per la malattia, non mi interessa.

Voglio ringraziare tutti, anche quelli che hanno pregato per me. Prima dividevo la gente, ora ho unito anche i tifosi avversari».

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