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La difficile condizione umana – Intervista a David Benatar

L’intervista di Salvatore Fiorellino

David Benatar è Direttore del Dipartimento di Filosofia della Cape Town University in Sudafrica. È inoltre Direttore del Bioethics Centre nella medesima università. I suoi libri sono stati tradotti in 7 lingue, è attualmente è considerato, in area analitica, tra i massimi esponenti del nichilismo contemporaneo e dell’antinatalismo.

Professor Benatar, innanzitutto la ringrazio per l’intervista. Entriamo subito nel merito delle domande. Potrebbe spiegare, fornendoci qualche dettaglio, quali sono le connessioni, se ve ne sono, tra Better Never To Have Been (edizione italiana pubblicata nel 2018 con il titolo Meglio non essere mai nati. Il dolore di venire al mondo, Carbonio Editore) e The Human Predicament (edizione italiana pubblicata nel 2020 con il titolo La difficile condizione umana, Giannini editore)? La prospettiva per cui sarebbe meglio non essere mai nati non è in contrasto con quella per cui le nostre esistenze possono essere riempite con qualche significato terrestre?

La ringrazio per il suo interesse professor Fiorellino. Il tema che accomuna i due volumi è la constatazione che la condizione umana è orribile e che il solo modo per evitare questo orrore è di non venire al mondo. È evidente che questa opzione non sia più nella mia disponibilità e neanche nella sua o in quella di chi ci sta leggendo. Tuttavia, noi possiamo decidere di non mettere al mondo (altre) persone che andrebbero incontro allo stesso triste destino.
In relazione a The Human Predicament (La difficile condizione umana), la sua osservazione è corretta: io sostengo che possiamo raggiungere un qualche limitato significato terrestre. Ciò non è però in contrasto con la prospettiva per cui sarebbe meglio non essere venuti al mondo. In effetti, una volta che siamo venuti al mondo, è certamente un bene che possiamo riempire le nostre vite con qualche significato, ma questo significato non è qualcosa di cui saremmo stati privati se non fossimo mai esistiti (dal momento che non ci sarebbe stata nessuna persona a subire la privazione). Pertanto, non costituisce un vantaggio rispetto al non essere mai venuti al mondo.

Lei ritiene che la vita sia un male, così come la morte. Può spiegarci la differenza, se esiste, tra questi due tipi di mali?

La vita è un male perché è accompagnata inevitabilmente da molto dolore, sofferenza, frustrazioni, delusioni e altre cose negative. La morte, nonostante queste caratteristiche della vita, è un male perché noi abbiamo un interesse nel continuare ad esistere. Talvolta questo interesse è sopravanzato da un interesse nel non sopportare più la spiacevolezza della vita, ma anche in questo caso la fuga dai travagli che l’esistenza ci pone davanti non è privo di costi

Qualcuno ritiene che l’uomo possa raggiungere un significato cosmico attraverso la religione. Perché tende ad escludere questa possibilità?

Sarebbe chiaramente superficiale liquidare il teismo nelle poche righe che ho a disposizione per rispondere alla sua domanda, ma volendo comunque fornire una risposta sintetica direi che il mondo è troppo pieno di male per essere frutto della creazione di un dio onnipotente, onnisciente e assolutamente benevolo. La strada indicata dalle religioni per attingere un significato cosmico (come d’altro canto le strade indicate da alcune prospettive secolari) sembrano rappresentare solo dei pii desideri

Ne La difficile condizione umana lei sostiene che ci sono diversi meccanismi di difesa attraverso i quali minimizziamo i dolori dell’esistenza. Ad esempio, lei parla di Pollianismo, adattamento e comparazione. Può dirci qualcosa a tal proposito?

Parlare di Pollianismo è un altro modo per riferirsi alla tendenza, ben documentata, verso l’ottimismo che caratterizza le persone comuni. L’adattamento si riferisce ad un altro fenomeno psicologico per cui quando formuliamo una valutazione soggettiva sul nostro benessere siamo soltanto temporaneamente condizionati dai cambiamenti nella nostra condizione oggettiva. Ad esempio, se un individuo perdesse l’uso delle proprie gambe penserebbe inizialmente che la qualità della propria vita sia peggiorata. Tuttavia, non appena quell’individuo si sarà adattato alla propria disabilità formulerà una valutazione del proprio stato che si avvicinerà a, anche se non raggiungerà mai effettivamente, quella che aveva prima di perdere l’uso delle gambe. La condizione oggettiva di quell’individuo non sarà migliorata, ma lo sarà la sua valutazione soggettiva della propria condizione.
La comparazione si riferisce alla tendenza umana a confrontarsi con gli altri quando si giudica la qualità della propria vita. Se tutti soffrono a causa di una condizione comune, questa condizione tenderà ad essere sminuita nelle valutazioni che formuliamo su noi stessi.

Ne La difficile condizione umana lei analizza il suicidio e sostiene che ci sono molte circostanze in cui il suicidio non andrebbe condannato. Nonostante ciò, il suicidio è differente sia dall’eutanasia che dal suicidio assistito. Lei è favorevole all’eutanasia e al suicidio assistito?

Il suicidio assistito è una forma di suicidio. È il suicidio in cui ricorriamo all’aiuto di qualcun altro. L’altra persona fornisce aiuto, ma l’uccisione vera e propria è compiuta ancora dalla persona che muore. L’eutanasia si distingue sia dal suicidio che dal suicidio assistito per questa ragione: nel suicidio (che sia assistito o meno) qualcuno si toglie la vita, mentre nell’eutanasia qualcuno mette fine alla vita di una persona. Nel caso dell’eutanasia volontaria, quell’uccisione avviene con il consenso della persona che muore.
Ritengo che, tutto sommato, si applichino le stesse considerazioni al suicidio assistito e all’eutanasia e al suicidio non assistito. La sola differenza è che, quando un individuo vuole che qualcuno assista e, a fortiori, quando vuole che qualcuno metta fine alla sua vita, si deve essere in grado di dimostrare a quell’altra persona che la continuazione della propria vita non è più nel nostro interesse. In altre parole, c’è un “onere della prova” maggiore nel caso del suicidio assistito e ancora maggiore nel caso dell’eutanasia.

La maggior parte delle persone vivono in una sorta di ottimismo sconsiderato. Lo vediamo anche oggi col fenomeno del negazionismo, in riferimento anche alla pandemia di covid in atto. Lei pensa che il negazionismo possa avere una connessione con il Pollianismo e con altri meccanismi di difesa di cui parla nel volume?

Penso di sì. Il Pollianismo è una causa comune di negazionismo. Le persone non vogliono credere che le cose vadano così male e dunque preferiscono negare la realtà

Ne La difficile condizione umana lei si sofferma sulla condizione degli animali non-umani, riferendosi ad esempio alle orribili condizioni alle quali sono costretti negli allevamenti intensivi. In riferimento al Coronavirus, poi, sul New York Times ha scritto il 13 aprile un articolo nel quale collega l’epidemia al trattamento crudele nei confronti degli animali. Afferma: “Le condizioni che portano alla comparsa di nuove malattie infettive sono le stesse che infliggono orribili danni agli animali”. Può spiegarlo ai nostri lettori?

È ben noto che molte (se non tutte) le malattie infettive che affliggono l’umanità sono di origine animale. Conosciamo anche le condizioni che, con maggiore probabilità, agevolano il salto di specie degli agenti infettivi. Allevare gli animali in ambienti angusti, un trattamento crudele per gli animali, è tra queste condizioni. Nel 2007 scrissi un editoriale nell’American Journal of Public Health avvisando che sarebbe stata solo questione di tempo, come conseguenza del nostro maltrattamento degli animali, prima che gli esseri umani fossero colpiti da un’altra pandemia. Allora non sapevo quanto ci sarebbe voluto. Ora so che ci sarebbero voluti tredici anni. Gli scienziati non sono ancora certi dell’origine del Coronavirus, ma ci sono delle prove robuste del fatto che esso sarebbe venuto fuori da un “wet market” o da una delle molte aziende cinesi in cui avvengono allevamenti misti di animali selvatici.
Il coronavirus non sarà l’ultima causa di una pandemia. È solo questione di tempo prima che verremo colpiti da un’altra pandemia. Dovremmo ridurre questi rischi smettendo di trattare gli animali in maniera così crudele. Questo renderebbe la vita meno cattiva per gli animali e anche per noi.

Professore, La ringrazio ancora per la sua disponibilità e speriamo di vederla presto in Italia.

La ringrazio professor Fiorellino. Spero che le circostanze del mondo mi consentiranno presto di essere di nuovo in Italia.

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