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Cosa vuol dire fare scuola oggi. Una pista per il futuro

Un’intervista al prof. Pasquale Vitale

Oggi ho il piacere di intervistare il prof. Pasquale Vitale, con cui ho condiviso una ricca e formativa esperienza di lavoro presso il Liceo artistico di Aversa. Il prof. Vitale, docente di ruolo di filosofia e storia presso il liceo classico di Aversa “Domenico Cirillo”, fa parte del comitato scientifico della rivista on line “Figure dell’immaginario”, e caporedattore della testata giornalistica on line Belvederenews. È autore di numerosi articoli di filosofia pubblicati su riviste scientifiche, di una monografia dal titolo “Letture e riletture aristoteliche: dai cosiddetti pitagorici a Bergson”, Limina mentis 2013, e di due testi per uso didattico, di cui uno intitolato “La filosofia aristotelica e il linguaggio del corpo nell’immaginario dantesco” e di un manuale di filosofia contemporanea dal titolo “La nottola di Minerva. Filosofia contemporanea: dal teatro ai fumetti”, Gnasso editore.

In base alla tua esperienza, pensi che l’insegnamento della filosofia, inteso come storia dei filosofi, sia utile per uno studente del liceo artistico? Oppure andrebbe rivisitato? 

Non sempre è opportuno far storia della filosofia per fare filosofia. La tendenza storicista ha radici che risalgono alla riforma Gentile, per il quale la filosofia corrisponde al “farsi del pensiero”, dunque è espressione della concretezza del reale. Ogni sistema filosofico, in questo senso, rappresenta una forma di consapevolezza dello spirito e proprio per questo che la filosofia coincide con la storia della filosofia. Fare storia della filosofia vuol dire, secondo questa impostazione, ricostruire i tasselli attraverso i quali il pensiero degli uomini è divenuto consapevole di se stesso. Io non nego affatto l’utilità di quest’impostazione: la storia della filosofia è un’enorme riserva di argomenti che poi diventano strumenti utilissimi e inoltre offre la possibilità, quando non è ridotta a puro nozionismo, di contestualizzare concetti e problemi, ma non può rappresentare l’unica alternativa. Le indicazioni nazionali del 2010 e gli “Orientamenti per l’apprendimento della filosofia nella società della conoscenza” (2017) insistono sull’importanza della filosofia per problemi (quali l’ontologia, l’etica, la logica e via discorrendo) per indurre gli studenti all’analisi e all’autonomia del pensiero. Per raggiungere questi obiettivi non è necessario conoscere in modo esaustivo tutta la storia di tutti i problemi filosofici, ma leggere e analizzare i testi, oltre che utilizzare manuali che trattino la filosofia per concetti, come quello del mio amico e collega Salvatore Grandone (L’esercizio del pensiero. Filosofia per concetti, Diarkos, 2020). Ben vengano, poi, metodologie come il Debate e la Classe capovolta. Dunque, venendo alla tua domanda, credo che vadano coniugati entrambi gli approcci (quello per temi e quello storicista). Per quanto concerne il liceo artistico, cambierei del tutto impostazione, dando più spazio alla filosofia per concetti (nello specifico all’estetica) e a percorsi di filosofia nella pittura (si veda il bel testo di R. Brand, Filosofia nella pittura, Bruno Mondadori, 2003). Da pochissimo è uscito anche Il coccodrillo di Aristotele. Una storia della filosofia attraverso la pittura, Ponte delle Grazie, 2020, un libro da prendere in considerazione.

Attualmente insegni al Liceo Cirillo di Aversa, un istituto molto importante nel territorio. Che cos’è oggi il liceo classico? Spesso abbiamo parlato di un liceo classico con curvatura beni culturali. Ci parli di questa idea?

Da quest’anno insegno con molta soddisfazione al liceo “D. Cirillo” di Aversa. In generale, ho sempre pensato che l’Italia possa e debba fregiarsi di annoverare tra i suoi ordinamenti il liceo classico, che basa la formazione dell’individuo sullo studio delle lingue antiche e che attribuisce estrema importanza alla filosofia, alla storia e alla letteratura, senza trascurare le altre discipline. Il liceo Cirillo, ad esempio, ha varie curvature (liceo classico della comunicazione, biomedico, Cambridge) attraverso le quali vengono potenziate anche le discipline scientifiche. Chi si diploma al liceo classico sa distinguere (o meglio dovrebbe) ciò è che è duraturo da ciò che non lo è, sa scrivere, sa pensare, sa concettualizzare e problematizzare. Il liceo classico, a mio avviso, è uno degli ultimi baluardi contro il progetto educativo delle tre “i” (inglese, informatica, impresa) solitamente presentate come tecnicamente necessarie ma basate, in realtà, su un “presentismo acritico” e dannoso. Più volte si sente parlare dell’inutilità di discipline preziosissime, la migliore risposta a certe osservazioni è quella offerta dalla filosofa Ágnes Heller (della quale consiglio Tragedia e filosofia, Castelvecchi, 2020): «Se qualcuno dovesse chiedere a me, come filosofa, cosa si dovrebbe imparare al liceo, risponderei: “Prima di tutto solo cose inutili, greco antico, latino, matematica pura e filosofia. Tutto quello che è inutile nella vita. Il bello è che così, all’età di 18 anni, si ha un bagaglio di sapere inutile con cui si può fare tutto, mentre con il sapere utile si possono fare solo piccole cose”». Sul progetto di un liceo classico con curvatura beni culturali abbiamo riflettuto insieme. L’obiettivo era proporre un liceo che offrisse una solidissima formazione culturale e al contempo gli strumenti per la valorizzazione dei beni culturali di cui la Campania è ricchissima.

Tu hai scritto diversi libri. Ne cito due che mi hanno particolarmente colpito: “La filosofia medievale spiegata dai ragazzi”, e il recente “La nottola di Minerva”. Sono testi che, senza perdere di vista il contenuto, mettono in risalto l’interdisciplinarietà dell’insegnamento. Com’è nata l’idea di scrivere i due libri? Ce li descrivi?

Il libro primo è il frutto di un esperimento didattico, nato dalla necessità di favorire lo studio di una parte della storia della filosofia molto sottovalutata. Attraverso la metodologia della “classe capovolta” i ragazzi del liceo artistico di Aversa, in cui ho insegnato per 4 anni, hanno redatto i profili di alcuni filosofi medievali, approfondendo le seguenti tematiche di filosofia medievale: la prova ontologica di Anselmo d’Aosta (che in varie forme sarà adottata da alcuni filosofi moderni tra cui Cartesio); l’etica dell’intenzione di Abelardo, con accenni anche all’opera “Dialogo tra un filosofo, un giudeo e un cristiano” (fondamentale perché contribuisce a sfatare il luogo comune storiografico che percepisce la filosofia esclusivamente come ancilla theologiae); la diversa lettura di Aristotele da parte di Averroè e Tommaso d’Aquino (essenziale per comprendere il problematico aristotelismo dantesco implicitamente palesato, tra gli altri, all’intento del XXVI canto dell’Inferno); la crisi della scolastica con particolare riferimento a Guglielmo di Occam e al principio di economia ontologia rappresentato dal cosiddetto “rasoio di Occam” (importante tassello per comprendere la rivoluzione scientifica nell’età moderna). Il secondo testo è sia un manuale per gli allievi che frequentano l’ultimo anno, sia un testo per chi vuol approcciare alla filosofia contemporanea. Il titolo, La Nottola di Minerva, allude all’immagine che Hegel offre della filosofia. Come la nottola si alza in volo solo sul far della notte quando il giorno è ormai concluso, allo stesso modo la filosofia descrive il movimento ideale dello spirito nella realtà. In questo senso, tutti gli spunti e gli esempi utilizzati, per rendere più chiaro il pensiero degli autori presi in esame, riflettono la realtà in cui vivo, perché nulla può essere sottratto dal proprio contesto di riferimento. Il testo è una sorta di cammino fenomenologico che si caratterizza per la sua forte interdisciplinarità. Del resto, il rapporto con la psichiatria, la psicologia, il cinema, la musica e i fumetti, l’analisi dei testi è fondamentale per evitare che la filosofia sia concepita come fine a se stessa, senza relazioni con i metodi e le angolature con cui le altre discipline affrontano certi temi e problemi. Al testo hanno collaborato amici e colleghi, che ringrazio tantissimo.

Tu hai partecipato, insieme ai tuoi alunni, a molti concorsi e seminari di studi. Oggi la scuola è ricca di progetti, tra i quali a volte ci si perde. Come scegliere quelli più adatti alla formazione degli studenti? 

Oggi la scuola è ricca di progetti e certamina che non devono essere demonizzati se comportano un impegno concreto e fattivo dei ragazzi in linea con gli obiettivi formativi di ogni singolo Istituto. Con le mie classi ho sempre partecipato a tante iniziative. Tra queste ricordo con piacere: il Festival della filosofia in Magna Grecia con la dott. ssa Pina Russo, le Olimpiadi della filosofia, la scuola della filosofia con il prof. Antonio Serpico e la prof.ssa Coppola, la filosofia for Children e in carcere con la prof. Giuseppina Giuliano e il Premio Galileo Galilei di Padova. Quest’anno, insieme ai colleghi del liceo Cirillo, parteciperemo al Premio Giambattista Vico, che verterà sul rapporto tra Vico e Dante Alighieri. Uscire dalle aule e confrontarsi con altre realtà contribuisce a sviluppare negli alunni le necessarie competenze di cittadinanza. Detto questo, la didattica frontale con la necessaria e approfondita acquisizione dei contenuti rappresenta la conditio sine qua non di ogni seria didattica.

Una domanda sul Coronavirus e la DAD. Come va ripensata la scuola in quest’epoca di pandemia? In che modo possiamo mettere l’educazione scolastica al primo posto?

La DAD è un’alternativa concepibile sono nei momenti di emergenza e in questo senso non si può non riconoscere che ha permesso di tener vivo il rapporto tra allievi e insegnanti, garantendo la conclusione dell’anno scolastico. In ogni caso, penso non si possa fare a meno di tutte le immense potenzialità che il digitale mette a nostra disposizione. 

Detto questo, la DAD conferma e forse rende ancora più evidenti le disuguaglianze, perché esclude tutti gli alunni non strutturati o con difficoltà economiche o di altro tipo anche perché non consente la socializzazione, il confronto, la cooperazione e la condivisione. Anche gli insegnanti corrono il rischio di tramutarsi in burocrati erogatori di nozioni. Attraverso la DAD non è possibile, infatti, realizzare l’apprendimento che il prof. Paolo Mastropaolo, autore di un bellissimo libro (Il Sè rivelato, Franco Angeli editore, 1999) definiva “sottile”, perché passa sub tela e implica una comunicazione che avviene attraverso molteplici livelli di coscienza. Ecco, come afferma il compianto Mastropaolo, per rimettere al centro il valore dell’insegnamento (cioè per lasciare il segno) è necessario che i contenuti siano vivi, abbiano un’anima, esprimano un messaggio emotivo, si trasformino in narrazione, altrimenti rimangono vuoti e inutili “introietti”.

Grazie, prof. Vitale. E in bocca al lupo per la presentazione della ristampa de La nottola di Minerva.

Grazie a te per l’intervista. 

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