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Natale: la festa di una nascita

Per i Cristiani, Natale è la festa di una nascita, un miracolo di cui perpetrare il ricordo.

Per i Cristiani, Natale è la festa di una nascita, un miracolo di cui perpetrare il ricordo. Secondo i Vangeli, Gesù nacque a Betlemme in una mangiatoia. Alcuni pastori, avvertiti dagli angeli, si recarono sul posto per adorare il bambino. Da queste poche affermazioni è nata la tradizione del presepe, come lo allestiamo ancora oggi. 

Interrogarsi sul Natale richiede un’analisi storica e teologica, che è difficile mantenere distinte. Innanzitutto, bisogna sfatare una falsa credenza: i primi Cristiani non festeggiavano il Natale. A loro interessava soprattutto la Pasqua, per il significato salvifico che assumevano la morte e la resurrezione di Gesù. I Cristiani inoltre non concordavano nemmeno sulla data esatta della nascita del Salvatore. Né era possibile reperire queste notizie dai Vangeli i quali, come si è detto, riportano scarse informazioni sull’evento. In breve, bisogna aspettare il IV secolo, dopo la svolta dell’imperatore Costantino (il quale pose fine alle persecuzioni, rendendo il Cristianesimo religione permessa e non religione ufficiale dell’Impero Romano, come erroneamente viene detto), per trovare un’attestazione della data del 25 dicembre. La Depositio martyrum, un calendario romano del 336, riporta: “Cristo è nato a Betlemme in Giudea otto giorni prima delle calende di gennaio (= 25 dicembre)”. Va detto anche che, per molti secoli, la Chiesa Orientale non ha accettato questa data, preferendo quella del 6 gennaio. 

In questi due giorni i pagani praticavano due culti molto importanti. Il 25 dicembre era infatti il giorno del solstizio del sole e il natale del dio Mitra. Questa divinità, di origini persiane, presentava sorprendenti analogie con Cristo, motivo per il quale i Cristiani si resero così zelanti nel far sparire le tracce di un culto a loro sospetto, per non dire pericoloso. In molte rappresentazioni Mitra è raffigurato con una fiaccola e una spada mentre nasce da una pietra; alcuni pastori rendono poi omaggio al dio petrogenito. Il significato è chiaro: Mitra – Sole porta la luce nel mondo e vi infonde la forza necessaria per combattere il male (oscurità); la sua venuta opera un rinnovamento della natura (i pastori). Il 6 gennaio, invece, si venerava in Egitto (ad Alessandria soprattutto) la nascita di Aion, dio solare, dalla vergine Kore. A mezzanotte l’immagine del dio veniva portata in processione mentre i fedeli ripetevano: “Adesso Kore ha generato Aion!”. Anche in questo caso il significato è evidente: Aion – Eternità (questo vuol dire il termine greco) irrompe nel tempo e manifesta agli uomini la presenza divina nella storia (epifania).

È molto probabile che i Cristiani abbiano cristianizzato le due feste. Ma, per i credenti in Gesù, tutto ciò non aggiunge né toglie nulla al piano salvifico di Dio, realizzatosi con la venuta del Messia.  

Alla luce di tutto ciò, possiamo trarre alcuni spunti di riflessione. Come si è detto, il Natale è la festa di una nascita. “Con la nascita di ciascuno”, come scriveva Hannah Arendt, “viene al mondo qualcosa di nuovo nella sua unicità” (Vita activa). La nascita è una novità momentanea, pur essendo una ripetizione uguale fin dalle origini del mondo. La nascita è anche la manifestazione gratuita di un evento sorprendente, senza il quale noi saremmo Ni-Ente, mancanza assoluta di Esser-qui-ed-ora. La nostra esistenza, pertanto, come condizione iniziale di “uscire da qualcosa”, incomincia con una nascita che subiamo, essendone però attori principali. Tuttavia, sebbene non sia ancora determinante di quel che saremo, per dirla alla Sartre, essa già sostiene le potenzialità del carattere essenziale, per quanto irrimediabilmente precario (siamo umani). Potremmo dire che la nascita sia un fragilissimo mistero di stupore, quasi un fremito in un mondo governato da eventi più sovrabbondanti di noi. Una luce nel buio di un’attesa lunga nove mesi, una schiarita nella radura di un mondo ostile che ci supporta e ci sopporta, e che chiede a noi di costruirne il senso. In fondo, col Natale, scopriamo le carte del nostro essere in cammino. Perché, parafrasando Heidegger, noi siamo soltanto pastori, viandanti in cerca della Verità che al massimo possiamo sfiorare, se non decide di apparire. Per questo attendiamo un’epifania, che sia soprattutto “teofania”.

Un’ultima considerazione. 

Non tutti sono credenti, e non occorre esserlo per ricordare che un miracolo il Natale l’ha davvero compiuto. Mi riferisco alla tregua di Natale del 1914, quando i soldati tedeschi e britannici – che fino al giorno prima si erano combattuti dalle trincee – deposero le armi per festeggiare insieme. Fu solamente un breve momento. Ma quel fugace scambio di auguri, in ricordo di un bambino nato molto tempo prima e tanto lontano da loro, realizzò il messaggio autentico del Natale: un anelito di pace e di fratellanza al di là delle divisioni politiche, religiose e culturali.

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