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Bacon, “Freud e la scuola di Londra”: dai volti deformi di Bacon ai selfie.

La mostra di Francis Bacon a Roma fino a Febbraio 2020

Uno dei vantaggi di una mostra a Roma che riguarda Francis Bacon è che, in breve tempo, si può contemplare il Velázquez che tanto lo ossessionò e che volontariamente studiò esclusivamente attraverso delle riproduzioni fotografiche. 

In effetti, dal chiostro del Bramante, dove è in corso, fino al 23 febbraio 2020, la mostra “Bacon, Freud e la scuola di Londra”, alla galleria Doria Pamphilij, dove è conservato il famoso ritratto di papa Innocenzo X, la strada, oltre che resa più piacevole dalle mille luci natalizie, è breve. 

Con una buona dose di volontà e sopportazione per le code, poi, ci si potrà spostare presso i Musei Vaticani per osservare e apprezzare il secondo della serie dei sei studi baconiani sul ritratto di Velázquez. Quest’ultima la si deve considerare un’occasione imperdibile: non sia mai che accada quanto successo al Brooklyn Museum dove, per necessità di cassa, un altro Pope (uno dei sei Tangier Paintings dipinto in Marocco nel 1958) è stato da poco messo in vendita, per sei milioni e mezzo di dollari, da Sotheby’s? Tranquilli, si tratta dei Musei Vaticani e, forse, le casse sono più solide.

Ma, per ora, entriamo nello splendido chiostro Bramante. O meglio: come sussurra la voce dell’audioguida, eco del noto esperto Costantino D’Orazio, nella Londra della seconda metà del Novecento. 

La luce soffusa, orientata con maestria solo verso i dipinti, ci fa presenti in una Londra resiliente che fa ancora i conti con il dolore delle migliaia di vittime provocate dai bombardamenti tedeschi di qualche anno prima. Una Londra, tuttavia, già gravida di giovani artisti che, pur vivendo sull’orlo del precipizio, talvolta immigrati, presto saranno in grado di dare forma espressiva alle diverse inquietudini interiori. Proprio questo senso di sconcerto, di smarrimento, di alienazione che questo triste tempo evoca è riconoscibile nel primo dipinto che ci viene proposto: Girl with a kitten di Lucian Freud. Si tratta di uno dei tanti ritratti, riconducibili alla tradizione della “nuova oggettività” (Neue Sachlichkeit), che il nipote dello psicoanalista Sigmund fa di sua moglie Kathleen Garman.

Da una parte gli occhi della donna per sempre sgranati, alienati e persi nel vuoto, dall’altra gli occhi dell’asfittico gatto stretto nella morsa del pugno di Kathleen che implorano pietà allo spettatore. Eppure, se si considera che Kathleen era chiamata Kitty, abbreviativo di cat/gattino, non si può non leggere in questo giochi di sguardi un grido di salvezza, forse proprio da quei tempi tanto dolorosi. 

Nelle sale successive si fa spazio alle opere di Francis Bacon. La prima che incontriamo è uno studio del 1955 sul calco del viso del poeta e pittore William Blake. Il volto emerge dal buio della tela, quasi con disappunto; le tonalità spettrali ricordano il macabro consulto della maga Eritto: non uno abituato da un pezzo alle tenebre, ma uno morto da poco; gli occhi chiusi un triste presagio. 

Nelle sale successive seguono altri volti deformati di F. Bacon, le opere di Paula Rego, Micheal Andrews e Franck Auerbach; sarebbe impossibile dare conto degli oltre quarantacinque dipinti, disegni e incisioni. Senza dubbio è un tour che stimola numerose riflessioni e, tra l’altro, può aiutare a scoprire qualcosa anche sul proprio conto. Tra il primo e il secondo piano sono installati una serie di pannelli, elaborati da esperti psicologi, che interrogano sull’abitudine di fare i selfie, un’abitudine, è spiegato sui pannelli, che può diventare un vero e proprio disturbo della personalità: selfie syndrome.

A questo proposito, proprio studiando e analizzando ciò che spingeva F. Bacon a rappresentare volti, oltre al suo, deformi può essere opportuno domandarsi perché facciamo così tanti selfie. Quale istinto spinge a modificare il nostro volto mediante l’aggiunta di potentissimi filtri? Perlopiù si tratta di filtri di abbellimento, ma non scarseggiano affatto quelli che rendono cani o gatti, zoomorfi, o che cambiano il volto di un uomo in donna, e viceversa, o che lo invecchiano. Perché?

[Liber, Roma, 27/12/19].

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Scritto da Liberato De Vita

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