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Si ascoltino i medici

Foto: Max Ernst, L’ange du foyer (Le triomphe du surréalisme), 1937

Uno dei limiti delle moderne antologie di letteratura italiana è che o ignorano del tutto o accennano brevemente alle interessantissime invettive scritte da Petrarca. Ne scrisse diverse, ma tra queste sembra possa avere un certo attuale interesse quella rivolta contro un medico.

Il rapporto di Petrarca con i medici non era certo idilliaco. 

In una lettera, dell’8 giugno 1371, indirizzata al dimenticato Malatesta Pandolfo, l’allora signore di Fano, Pesaro e Rimini, il nostro poeta racconta di una vicenda che la dice lunga. Rammenta, infatti, che ormai da un mese la consueta e violentissima febbre era ritornata e con questa anche i medici. Questi, dopo un lungo consulto, sentenziarono che il malato poeta sarebbe morto quella notte stessa. Petrarca si guardò bene dall’obbedire ai consigli dei medici, anzi diede ordine ai servi che nulla si facesse di ciò che i medici avessero ordinato. Se qualcosa si doveva fare era il contrario di quanto avrebbero detto (Senili, XIII, 9). Caratteraccio il nostro poeta! 

Qualche anno prima, sempre per questioni legate ai medici, aveva scritto a papa Clemente VI. 

Era preoccupato per la sua salute. Clemente, infatti, soffriva dal dicembre del 1351 di una grave malattia che, pensate, dopo un anno lo portò alla morte. L’intera corte di Avignone era in subbuglio. Anche Petrarca fu inevitabilmente  preso dall’ansia per le sorti del prestigioso paziente. Decise, così, di inviargli una missiva. Si tratta della Familiares V, 19. Qui, Petrarca fa riferimento al letto dell’illustre infermo come fosse una città assediata: il povero papa è come circondato da agguerriti medici che imparano a spese degli infermi e si fanno esperti a furia d’ammazzare. 

Fu proprio questa virulenta epistola che costrinse Petrarca a chiarire meglio le sue idee riguardo i medici e la medicina. Questa lettera, infatti, spinse uno di quei medici impegnati nella cura del pontefice a dire la sua. A queste riflessioni, Petrarca contrappose le sue invettive. 

A ben vedere, però, Petrarca non ne fa una questione unicamente contro la medicina in generale e un medico in particolare: la sua diventa l’occasione per una questio de artibus, ovvero l’occasione per riflettere sulla mescolanza fra arti meccaniche e liberali.

Quasi sicuramente, credo, siamo tutti d’accordo nell’affermare che, ai nostri giorni, il problema di ascoltare i medici non dovrebbe neanche porsi. Eppure, sembra si debbano registrare delle eccezioni che hanno il gusto di medioevo, nella più negativa delle accezioni, si intende.  

I toni sembrano quelli delle invettive, il contenuto e lo stile, non può essere altrimenti, lasciano a desiderare. Di petrarchesco non c’è nulla. 

Facciamo un salto oltreoceano e proviamo a ripercorrere brevemente alcune delle dichiarazioni degli uomini religiosi americani più seguiti. L’antologia potrebbe essere molto lunga, mi limiterò a pochissimi esempi: non si tratta, come dicevamo, di novelli Petrarca per i quali varrebbe la pena raccoglierli e auspicare, per i nostri studenti, una più ricca antologia.

C’è al primo posto in questa strana classifica un simpatico telepredicatore, tale Jonathan Shuttlesworth. Senza alcun ritegno, dopo essersela presa con tutti i Paesi europei per aver chiuso i locali di culto, dichiara: ““You’re a loser. Bunch of pansies. No balls. Got neutered somewhere along the line and don’t even realize it. … Let me tell you if the devil doesn’t want there to be mass gatherings — it’s time to hold mass gatherings. If I lived in Italy I would call an open-air crusade to pray for the sick. If you have to go to jail, go to jail.”

 

In piena coerenza con le sue idee, Jonathan sta pensando di di organizzare un raduno di credenti in stile Woodstock per la prossima per festività di pasqua. Che dire del martire Rodney Howard-Browne, un altro noto “man of God” che senza ritegno apostrofa chi non la pensa come lui con epiteti misogini e omofobi, che violando la quarantena è stato recentemente arrestato? D’altra parte, come sostiene l’apostolo Guillermo Maldonado, non ridete si fa chiamare così, temere il coronavirus è un po’ come avere uno spirito demoniaco.  

Mentre in occidente si discute, in oriente, è il caso di dire, “expugnant”. Eh, sì forma attiva. 

Jamil al-Mutawa, da Gaza city, ci fa sapere che il coronavirus è un soldato mandato da Allah per sfinire i cinquanta Stati americani. 

Come non riflettere sul fanatismo religioso che come una tenaglia stringe e divide da oriente a occidente l’intero mondo? Come è possibile pensare al proselitismo religioso, o peggio alla propaganda politica, mentre c’è gente innocente che muore? 

C’era un uomo, tanti anni fa, ancor prima di Petrarca, preoccupato per la salute cagionevole di un suo caro amico. Era così grave quella malattia che destabilizzava anche l’indole. Cosa poteva dire Plinio il giovane al suo caro amico Gemino? Tutti in queste occasioni vorremmo una parola straordinaria e lenitiva. Figuriamoci oggi per i nostri amici vittime di questo maledetto virus.

Quella di Plinio dai nostri supereroi, sarebbe vista come una voce priva dello slancio della fede. Non esiterebbero a etichettarla adatta a delle femminucce. 

Invece è, senza alcun dubbio, la voce matura della ragione. Il suo tono è senz’altro armonioso anche per chi crede, ovviamente, con un animo moderato e non estremista. 

A pensar bene, oltre ad essere le più ragionevoli e adatte al nostro momento, queste parole potrebbero rappresentare uno dei tanti punti da cui poter partire per vincere ogni forma di fanatismo, occidentale o orientale che sia. 

“Mi riprometto davvero che, se mi capitasse di cadere ammalato, io non esprimerò nessun desiderio di cui abbia poi da vergognarmi o da pentirmi. Se tuttavia la malattia dovesse vincere, vi intimo di non porgermi nulla senza il permesso dei medici e sappiate che, se me lo porgerete, io vi castigherò …” (Plinio il giovane, Epistole, VII, 1). 

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Scritto da Liberato De Vita

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