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Il Recovery Plan e la nostra storia

Lunedì ventisei aprile il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha presentato alla Camera dei Deputati il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che dovrebbe condurre il Paese, nel corso dei prossimi anni, verso una nuova stagione accelerando su ambiente e digitale con l’ausilio di investimenti massicci sul piano finanziario e di riforme a lungo attese. Il giorno seguente, martedì ventisette aprile, il medesimo Piano è stato presentato anche al Senato per poi essere approvato e inviato in seguito, come da programma, a Bruxelles.

Perché il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza

Il Covid-19 è stato ed è tuttora, basti guardare all’impatto tremendo che sta avendo sulla popolazione indiana in questi giorni, una iattura. Per alcuni prevedibile considerando i livelli non più sopportabili a cui abbiamo condotto il nostro unico pianeta, per altri semplicemente un “Cigno Nero”, ovvero qualcosa di non prevedibile e dagli effetti straordinariamente impattanti sulla vita, la salute, le relazioni e il lavoro delle persone.

È stato sì una iattura ma anche una opportunità per mettere mano a questioni che in precedenza venivano semplicemente ipotizzate, ragionate, studiate o auspicate. Una questione su tutte, soprattutto dopo la Brexit, riguarda il futuro dell’Unione Europea e la sua capacità di essere flessibile in termini di risposta ad un evento, unita e lungimirante lasciando sulla strada burocrazia e luoghi più o meno comuni sulla incapacità di certi suoi Membri di traghettarsi verso il futuro.

Questa capacità è stata ben dimostrata dall’Europa nei primi mesi della pandemia e soprattutto a fine maggio 2020 quando ha lanciato il programma Next Generation EU attraverso il quale dovrebbe dare ai Paesi settecentocinquanta miliardi di euro al fine di consentir loro di uscire (speriamo definitivamente presto) dalla pandemia con una auspicata maggior crescita, con investimenti e con riforme. Circa trecentonovanta miliardi dei settecentocinquanta saranno elargiti sotto forma di sovvenzioni. La componente più rilevante del programma si chiama Dispositivo per la Ripresa e Resilienza e le risorse “a budget” saranno reperite attraverso l’emissione di titoli obbligazionari dell’Unione Europea.

Il Dispositivo per la Ripresa e Resilienza ha una durata di sei anni (fino al 2026) e può contare su 672,5 miliardi di euro (312,5 di sovvenzioni e 360 di prestiti agevolati).

Il Dispositivo non è l’unico strumento di cui il Next Generation EU si compone. C’è anche il REACT-EU (47,5 miliardi) che è stato, in pratica, concepito in un’ottica di più breve termine (2021-2022) per aiutare i Paesi nella fase iniziale di rilancio delle loro economie.

Il Next Generation EU, quindi, dovrebbe consentire ai Paesi Membri di avviarsi verso un percorso di crescita puntando su transizione verde, trasformazione digitale, crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, coesione sociale e territoriale, salute e resilienza economica, sociale e istituzionale, politiche per le nuove generazioni, l’infanzia e i giovani.

In questa cornice si inserisce, per ciascun Paese Membro, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che altro non è che un business plan con cui i Governi si presentano agli investitori (l’Unione Europea) per descrivere come intendono portare i Paesi verso una nuova fase di crescita, come allocheranno le risorse, quali provvedimenti prenderanno (riforme) e quale sarà la governance che si occuperà di attuare e monitorare i singoli processi.

Il Piano italiano. Uno sguardo d’insieme

Il Piano italiano si pone tre obiettivi chiave: 1. riparare i danni economici e sociali della crisi pandemica; 2. contribuire ad affrontare le debolezze strutturali dell’economia italiana lavorando in modo particolare sugli ampi e perduranti divari territoriali, un basso tasso di partecipazione al mercato del lavoro, una debole crescita della produttività, i ritardi nell’adeguamento delle competenze tecniche, nell’istruzione e nella ricerca; 3. lavorare sulla transizione ecologica per avere un Paese più innovativo e digitalizzato, più aperto ai giovani e alle donne, più rispettoso dell’ambiente e più coeso territorialmente.

Riforme e Investimenti

Il Piano si struttura in riforme e investimenti. Questi ultimi dovrebbero ammontare a circa 222,1 miliardi di euro di cui, 191,5 finanziati attraverso il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza e 30,6 finanziati attraverso un fondo complementare finanziato, a propria volta, attraverso lo scostamento pluriennale di bilancio approvato nel Consiglio dei Ministri.

Sia le riforme che gli investimenti affrontano in modo strutturato e orizzontale tre questioni di fondo: la disuguaglianza di genere, l’inclusione giovanile e i divari territoriali.

Gli investimenti sono organizzati in missioni e, più precisamente, in sei missioni: 1. Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura, 2. rivoluzione verde e transizione ecologica, 3. infrastrutture per una mobilità sostenibile, 4. istruzione e ricerca, 5. inclusione e coesione, 6. salute.

Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura

Questa missione dovrebbe raggiungere l’obiettivo di promuovere e sostenere la trasformazione digitale del Paese e l’innovazione del sistema produttivo e investire in due settori chiave per l’Italia: turismo e cultura. Per raggiungere quest’obiettivo può contare su 49,2 miliardi di euro che saranno investiti su banda ultralarga e connessioni veloci in tutto il Paese, sulla digitalizzazione della pubblica amministrazione, sul rilancio del turismo e dei settori della cultura tramite un approccio digitale e sostenibile e così via.

Rivoluzione verde e transizione ecologica

La missione che può contare sul numero più consistente di risorse: 68,6 miliardi di euro. Obiettivo da raggiungere: migliorare la sostenibilità e la resilienza del sistema economico assicurando una transizione equa e inclusiva. Cosa fare per raggiungerlo? Il Governo ha deciso di investire e far riforme per l’economia circolare e la gestione dei rifiuti, per le rinnovabili, per ridurre i rischi del dissesto idrogeologico, per l’idrogeno, il trasporto pubblico locale e così via.

Infrastrutture per una mobilità sostenibile

Obiettivo: sviluppo razionale di una infrastruttura di trasporto moderna, sostenibile ed estesa a tutte le aree del Paese. Budget: 31,4 miliardi da utilizzare per l’alta velocità, porti verdi, digitalizzazione della catena logistica, modernizzazione e potenziamento delle linee ferroviarie regionali.

Istruzione e ricerca

Obiettivo: rafforzare il sistema educativo, le competenze digitali e STEM, la ricerca e il trasferimento tecnologico. Budget: 31,9 miliardi.

Inclusione e coesione

Obiettivo: facilitare la partecipazione al mercato del lavoro, anche attraverso la formazione e rafforzare le politiche attive del lavoro, favorire l’inclusione sociale. Budget: 22,4 miliardi.

Salute

Obiettivo: rafforzare la prevenzione e i servizi sanitari sul territorio, modernizzare e digitalizzare il sistema sanitario e garantire equità di accesso alle cure. Budget: 18,5 miliardi.

Impatto atteso sull’economia

Dovrebbe esserci un incremento di produttività (uno dei nostri problemi principali) grazie a innovazione, digitalizzazione e investimenti in capitale umano. Nel 2026 il Pil dovrebbe essere di 3,6 punti percentuali più alto rispetto allo scenario di base (senza il Piano in pratica). Anche l’occupazione dovrebbe essere più elevata. Nell’ultimo triennio dell’orizzonte temporale (2024-2026) lo scostamento rispetto allo scenario base è di 3,2 punti percentuali.

Sud, giovani e donne

Al Sud del Paese sono destinati circa 82 miliardi di euro. Per i giovani il focus sarà su istruzione, servizio civile e cambio generazionale nella pubblica amministrazione mentre per le donne ci sarà anche un sostegno all’imprenditoria femminile.

Governance

Cabina di Regia presso Palazzo Chigi, il Ministero dell’Economia e delle Finanze monitora e rendiconta e i Ministeri e le Amministrazioni locali attueranno il tutto.

Le Fasi

Entro maggio: decreto per l’istituzione della Cabina di Regia del Recovery Plan; decreto per la semplificazione urbanistica ed edilizia; decreto per le semplificazioni dei contratti pubblici.

Entro giugno: semplificazione e anticorruzione.

Entro luglio: legge annuale per lo sviluppo della concorrenza; legge delega di riforma fiscale.

1° agosto: via libera della Commissione e del Consiglio UE al Piano italiano.

Tra agosto e settembre: prima tranche di 20-25 miliardi di finanziamenti all’Italia.

Settembre: disegno di legge sugli incentivi alle imprese al sud.

Entro il 2021: riforma della giustizia, della pubblica amministrazione e degli ammortizzatori sociali.

30 giugno 2022: prima relazione annuale del Governo al Parlamento sul Recovery Plan.

Il discorso di Draghi al Parlamento e alcune questioni

Lungi da noi esprimere giudizi sul discorso con cui il Presidente del Consiglio ha presentato il Piano alle Camere, siamo però consapevoli della necessità di cogliere l’occasione per provare a interpretarlo mettendolo in relazione con le caratteristiche del Paese, delle sue Istituzioni e di tutti noi cittadini.

Cominciamo subito col dire che le parole pronunciate dal Presidente sono di grande conforto per il Paese perché lasciano intravedere la forza con cui intende portarlo avanti e la fiducia che in esso fortemente nutre seppur il tono di voce sia quasi sempre stato tiepido e lo sguardo sempre rivolto in basso, alla lettura degli appunti. Certo, l’arte oratoria non appartiene a tutti e francamente, in questo momento, dei bei discorsi non importa a nessuno ma certi passaggi chiave che lasciano intravedere forza e fiducia devono essere onorati con la fermezza dell’interpretazione e degli occhi.

Ecco uno dei passaggi salienti:

“Sono certo che riusciremo ad attuare questo Piano. Sono certo che l’onestà, l’intelligenza, il gusto del futuro prevarranno sulla corruzione, la stupidità e gli interessi costituti. Questa certezza non è sconsiderato ottimismo, ma fiducia negli italiani, nel mio popolo, nella nostra capacità di lavorare insieme quando l’emergenza ci chiama alla solidarietà, alla responsabilità. È con fiducia che questo appello allo spirito repubblicano verrà ascoltato, e che si tradurrà nella costruzione del nostro futuro, che presento oggi questo Piano al Parlamento.”

Ebbene, il Presidente Draghi quando menziona la corruzione, la stupidità e gli interessi costituiti si rivolge direttamente allo schifo che contamina da sempre questo Paese, sia nel pubblico che nel privato. I fenomeni di corruzione appartengono all’Italia e a tutto il mondo e su questo abbiamo lavorato e stiamo lavorando bene limitandoli sempre più e dunque non val la pena soffermarsi più di tanto. Sulla stupidità possiamo divertirci senz’altro. Durante marzo e aprile 2020 ricorreva ovunque il ritornello “ne usciremo migliori” salvo poi scoprire subito il mese successivo che in realtà non eravamo e non siamo cambiati per niente, anzi. Quest’elemento è fondamentale per inquadrare il tutto. Raramente noi cittadini ci siamo trasformati in comunità a livello nazionale. Certamente, ci sono innumerevoli esempi di comunità in cui ciascuno è inserito ma come Patria diciamo la verità: lasciamo parecchio a desiderare. Montanelli diceva: noi italiani siamo furbi con le nostre questioni private ma fessi quando si tratta di difendere quelle della comunità Italia. In effetti è così ancora oggi e lo sarà a lungo ancora perché la storia di un popolo non si cambia nell’arco di pochi decenni. Quindi è importante tenerlo in considerazione e se vogliamo che si ripeta il miracolo economico post seconda guerra mondiale (è dura!) dobbiamo mettere in condizione il privato di poter lavorare bene perché solo così è in grado di dare un contributo vero alla comunità. In questo senso è evidente che molte missioni del Piano sembrino ai più anni luce distanti dalla realtà quotidiana ma non è così invece, anzi. Se messi nella condizione di lavorare, dobbiamo poi sfidare noi stessi e rivolgere lo sguardo al nuovo. Arriviamo, quindi, agli interessi costituiti. Qui apriamo un altro discorso vergognoso: le corporazioni. L’Italia è una realtà corporativa e questo è una delle ragioni principali per cui il nostro ascensore sociale è bloccato e il Covid, i ristori e così via non hanno fatto altro che accentuare questa nostra caratteristica e dunque, l’unico modo per arginarla sarà quello di lavorare trasversalmente come già si pensa ma su questo le riforme dovranno essere molto mirate.

La capacità di lavorare insieme è l’olio del motore di una macchina: quando manca si bloccano gli ingranaggi e il tutto si fonde. I primi ostacoli li vedremo con le riforme che dovranno essere approvate in poco tempo e quindi vedremo la maturità del Parlamento in questo. Si dovranno poi considerare altri potenziali impedimenti ad una ottima implementazione del Piano da cui dipende il nostro futuro: burocrazia, leggi, passaggi amministrativi, corsi e ricorsi al Tar e così via. Qui c’è poco da ragionare: se va tutto bene torniamo ai livelli del 2019 con un’ossatura migliore e quindi questa “capacità di lavorare insieme” è davvero auspicata seppur fortemente messa in dubbio se si vuol essere non sconsideratamente ottimisti.

Quando il Presidente Draghi parla, poi, di gusto del futuro si rivolge, almeno spero, ai giovani, a quelli che conoscono il termine futuro nella sua accezione negativa legata all’incertezza che esprime e che non ne hanno mai conosciuto il gusto fatto di indipendenza economica, possibilità di crearsi una famiglia, comprare una casa o fare impresa in un certo modo. Si rivolge anche, ovviamente, alle persone di tutte le età che non hanno mai perso la speranza e l’entusiasmo nonostante le cose che hanno visto in questi anni e i momenti di solitudine a cui sono stati castigati. È una chiamata alle “armi” per le persone che possono fare la differenza non per capacità finanziarie ma per quelle di visione e di sorriso. Tuttavia, questa chiamata produrrà frutto se queste persone saranno quantomeno messe nelle condizioni di incidere altrimenti è un’altra presa in giro.

L’Italia è uno dei Paesi che nel 2019 era peggio messo rispetto agli altri in Europa e per questo è uno di quelli destinatario del maggior numero di risorse messe a disposizione dalla UE. L’implementazione di questo piano sarà un percorso complicato e tortuoso. “Uscire dalla pandemia non sarà come riaccendere la luce” ripete Draghi ed è vero. Cosa fare dunque? Rassegnarci al disincanto? Ma nemmeno per sogno: teniamo a bada le favole e diamoci da fare per crescere e consegnare alle nuove generazioni qualcosa che sia migliore di quello che era appena due anni fa.

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Scritto da Vincenzo Lettieri

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