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Carneade! Chi era costui? La cura dell’opinione dogmatica

Carneade! Chi era costui? — ruminava tra sé don Abbondio seduto sul suo seggiolone, in una stanza del piano superiore, con un libricciolo aperto davanti, quando Perpetua entrò a portargli l’imbasciata. «Carneade! questo nome mi par bene d’averlo letto o sentito; doveva essere un uomo di studio, un letteratone del tempo antico: è un nome di quelli; ma chi diavolo era costui?» (Manzoni, Promessi Sposi, cap. VIII)

Oggi il nome di Carneade dice poco o nulla ai non specialisti, tanto che “carneade” è diventato sinonimo di persona sconosciuta. Carneade (214-129 a. C.), capo dell’Accademia platonica, era un filosofo molto sottile, un vero e proprio campione di dialettica al punto che il suo avversario, lo stoico Antipatro di Tarso, non osava sfidarlo apertamente: “Ogni idea di Carneade trionfava” diceva Numenio di Apamea. Di Carneade non possediamo scritti – probabilmente aveva preso ad esempio Socrate. Comunque, il suo pensiero era così sfuggente che il suo discepolo Clitomaco scrisse su di lui circa quattrocento libri, per ammettere infine di non aver compreso bene il suo insegnamento.

Carneade è famoso anche per aver preso parte ad un’ambasceria che si recò a Roma nel 155 a. C., composta da lui stesso, dallo stoico Diogene di Babilonia e dal peripatetico Critolao di Faselide per chiedere al Senato di abolire una multa di 150 talenti, comminata ad Atene per aver saccheggiato la città di Oropo. In quell’occasione tenne due conferenze in due giorni successivi: in una esaltava la giustizia, nell’altra la criticava. Ciò fece andare su tutte le furie Catone che si prodigò affinché fosse espulso da Roma. Ma l’accademico poté tornare in patria con la palma della vittoria.

L’atteggiamento di Carneade si poneva in aperto contrasto con la dottrina stoica della conoscenza. Secondo gli Stoici la vera conoscenza si basa sull’assenso a quelle sensazioni vere definite “rappresentazioni catalettiche”, le quali riproducono in maniera esatta un oggetto esistente. L’insieme delle rappresentazioni catalettiche costituisce la base della scienza. Ora, secondo Carneade – e la filosofia accademica di età ellenistica – tutto ciò pone un problema. È difficile, infatti, distinguere le sensazioni vere da quelle false. Ecco perché, di fronte all’impossibilità di una tale selezione, bisogna praticare l’epoché, ossia la sospensione del giudizio. Tuttavia – e questo è un punto importante ai fini della discussione – tale atteggiamento non vuol dire assolutamente chiusura totale di fronte alla realtà, perché secondo Carneade tutti gli uomini hanno un’opinione; né porre l’ignoranza come fine ultimo della conoscenza, perché il messaggio dello scetticismo accademico è quello della ricerca continua – ricordo che la parola skepsis, da cui deriva scettico, vuol dire appunto ricerca. Di conseguenza, tutto ciò si traduce praticamente non nella paralisi dell’inazione, ma in un’azione che tenga conto del probabile.

Cos’ha da dire oggi lo scetticismo accademico?

La cautela con la quale si muoveva Carneade è di esempio contro la cosiddetta opinione dogmatica. Con essa intendo la pretesa da parte di ognuno di essere assertore di una verità propria – e perciò universale – che richiede non tanto la verifica nella discussione, ma piuttosto i like e il plauso degli altri.

L’opinione dogmatica, che è lontana anni luce dalla rappresentazione catalettica, non ha sempre un corrispettivo nella realtà. Talvolta è frutto della fantasia, della chiacchiera, del si dice – direbbe Heidegger – con la conseguenza di vivere una esistenza inautentica o, anche, un’inesistenza autentica. Chi viene trascinato nel flusso dell’opinione dogmatica, chiaramente espressa in modalità di fallacia, ha abiurato dallo sforzo logico di sottoporre a “scetticismo” l’inconsistente flatus vocis. Non regge più nemmeno la critica di Carneade all’impossibilità di distinguere le sensazioni vere da quelle false, perché oggi, secondo l’opinione dogmatica, ogni sensazione è vera, ed è tanto più vera quanto è propria – ma le “convinzioni sono carceri, non vedono abbastanza lontano e non vedono al di sotto di esse”, scriveva Nietzsche (L’anticristo). Un tale relativismo assoluto di facciata porta al negazionismo sfrenato di ogni evidenza, di ogni probabile. Riprendendo solo in apparenza lo scetticismo accademico, non si perviene comunque mai a una sospensione del giudizio. Anzi, accade l’esatto contrario.

L’opinione dogmatica è affermativa, mai opinativa. Pertanto, il congiuntivo, il tempo del dubbio, dell’eventuale, dell’ipotesi, del probabile è abolito in nome dell’indicativo, del tempo semplice e assertivo. Una tale semplificazione si traduce nell’incapacità di risolvere qualsiasi problema che, ontologicamente, è per natura complesso e richiede uno sforzo che l’opinione dogmatica ha del tutto rinnegato e relegato nell’anatema dell’inutile. E come sempre, la semplificazione logica si traduce nella semplificazione dell’azione. Semplificazione prodroma del manicheismo populista: bianco e nero, buono e cattivo, destra e sinistra ecc.

Contro una tale deriva nichilista, mascherata dall’in-finito onnipervasivo di chi esercita l’opinione dogmatica, lo scetticismo accademico ci chiede di riassumere la ricerca, per innalzare il dubbio non a verità assoluta, ma a metodo di indagine. In tal modo potremo davvero ritagliare il limite che è proprio, potremo cum-petere, convergere insieme, sulla base delle opinioni “scettiche” di ciascuno, nell’esercizio logico-dialettico dell’intelligenza. Esercizio che è il cuore pulsante della nostra umanità, dialogica e comunitaria.

E forse, alla lunga, non dovremo più chiederci: “Carneade! Chi era costui?”.

PS. Se qualcuno ha intenzione di approfondire la filosofia dell’Accademia di età ellenistica, consiglio il libro di M. Bonazzi, Il platonismo, Piccola Biblioteca Einaudi 2015, da quale sono tratte alcune delle osservazioni su Carneade qui riportate.

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