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La pienezza di consolazione

Una lettura di 2Cor 7,4

In 2 Corinzi, San Paolo afferma in maniera straordinaria il significato della tribolazione: “Sono pieno di consolazione, sovrabbondo di gioia in ogni nostra tribolazione”. Quando l’oppressione delle avversità, quando la pressione che ci consuma, ci angoscia e ci macera (questo vuol dire θλίψις, thlipsis) si manifesta in tutta la sua assoluta virulenza, svuotando ogni fibra del nostro corpo, allora si apre la porta della e alla consolazione. 

In una bella ricostruzione etimologica, consolazione viene a significare lo stare insieme a chi è solo; a chi nella difficoltà ha perso tutto e si trova ad affrontare, singolo, la tempesta dell’esistenza. Stare insieme a chi è solo è la cartina da tornasole per chi ha fede. Per chi crede che l’altro sia davvero prossimo, così vicino al se stesso da identificarsi quasi con lui. Quasi a dire che, nel cammino che resta da fare, c’è una prossimità che annulla del tutto i confini. 

Stare insieme a chi è solo è un’assunzione di responsabilità, certamente cristiana, ma anche umana. È il senso di fratellanza che accomuna le persone, rendendole, nella vicinanza estrema, “proprio”. Pertanto, nella sua essenza, essa è una nuova condizione ontologica. È uno svuotamento/riempimento. Svuotamento dal proprio egoismo, riempimento dei sentimenti altrui. Realisticamente, un sentire nella carne quel che, dall’esterno, è un mero fenomeno, ma che dentro, appunto, è sostanza piena. 

Questo tipo di consolazione che trova la propria realizzazione nella condizione cristiana, ha in Cristo il suo fondamento: è lui che è accanto all’uomo solo. Non si tratta di una semplice empatia. È l’annullamento dell’oggetto, per far posto al soggetto. Una direzione amorevole di unione, un’unità che è “solamente” comunità. 

Ovviamente esiste anche una consolazione filosofica (senza dimenticare che il genere della consolatio era molto diffuso nella letteratura latina). Pensiamo a Severino Boezio, il grande logico medievale, autore di un libro molto fortunato: De consolatione philosophiae. Nell’opera lo scrittore, incarcerato ingiustamente nei pressi di Pavia, colloquia con Filosofia in persona, e cerca di comprendere il senso della fortuna e delle avversità, arrivando ad una conclusione neoplatonica del male, quale privazione di essere. 

Ma la consolazione è anche molto di più.

Nel testo paolino è παράκλησις (paraklesis), ossia chiamata, convocazione. È la missione a cui il cristiano è vincolato nell’affrontare l’oppressione. Nell’accettazione del messaggio evangelico, il credente viene “chiamato presso”, come lo è stato San Paolo, folgorato sulla via di Damasco. Assumere la tribolazione come chiamata è difficile, impossibile per chi non ha fede. Nessuno, almeno agli occhi dell’Apostolo, può sopportare il peso del destino senza impazzire; nessuno può assumere il dolore dell’altro senza il dono della Grazia. Per questo motivo, San Paolo catechizza nelle sue lettere le comunità cristiane. Severamente. Affinché siano chiese, ossia “chiamate”.

Stare insieme a chi è solo nella chiamata presso: ecco il significato completo della consolazione nella tribolazione. 

Una mistica incarnata che accompagna l’esistenza rendendola più sopportabile. 

Nei tempi bui. Nei tempi normali. 

Nella fede. Umanamente.

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