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Tazzulella con Luca Bagato

Luca Bagato nasce a Milano 55 anni fa. Sposato e papà di due figli, lavora in Borsa Italiana ed è docente di Economia e finanza dei mercati globalizzati e di Microstruttura e liquidità dei mercati finanziari elettronici all’Università Cattolica del Sacro Cuore, sede piacentina.

A quella milanese si è laureato con il massimo dei voti alla facoltà di Economia e Commercio con una tesi sul Mercato telematico dei titoli di Stato.

Durante gli anni ’90 ha lavorato come trader sui mercati obbligazionari e su quelli derivati presso JPM (Milano), Salomon Brothers (Londra e New York) e Citibank (Milano).

Dall’estate del ’92 alla primavera del ’93 è carabiniere ausiliario.

Dal 2014 è Head of Sales Fixed Income & ETFs, Borsa Italiana Spa, London Stock Exchange Group.

È co-autore del libro “Investire con le Obbligazioni”, edizioni Hoepli 2014. Co-autore del research paper “reflexivity and volatility”, pubblicato dalla rivista di Scienze Sociali di Vita e Pensiero, autunno 2018.

Molto attivo su Twitter e Linkedin dove aggiorna costantemente la sua rete di contatti sui principali accadimenti economici, finanziari e politici, commentandoli e avviando dibattiti.

Tiene il corso, insieme ad altri docenti, di Exchange and Trading Venues all’Executive Master in Finance di SDA Bocconi.

Dal 2015 si occupa di tematiche della green economy ed è osservatore dell’evoluzione delle tematiche di climate change presso le Banche Centrai di Paesi sviluppati, con un particolare focus sulla Fed.

Professor Bagato, un curriculum davvero ricco e interessante. Ci toglie subito una curiosità? Perché a un certo punto della sua vita e della sua carriera è entrato a far parte dell’Arma dei Carabinieri?

E’ legato alla RAI e alla prima serie sui Carabinieri degli anni’70: è stato un amore a prima vista. Quando si è presentata l’occasione del servizio militare non ho avuto dubbi. Un’esperienza di vita unica.

Lei ha lavorato come trader. Il cinema ha reso celebre questa figura portandola ad essere desiderata per lo stile di vita, l’adrenalina e cose di questo genere. È davvero così?

Il mestiere del trader è cambiato nel tempo ma l’adrenalina che i mercati sanno generare resta unica e questo mestiere resta difficile da inquadrare con gli altri. E’ uno stile di vita perché ti obbliga sempre a ragionare su quello che stai facendo e a giudicare  nel breve o nel medio termine se quello che hai deciso di fare, o di non fare, è stata una buona idea o meno. Hollywood ne ha colto solo gli aspetti folkloristici e/o psicologici ma un trader è un grande osservatore di una realtà multidisciplinare, non solo finanziaria, che lo accompagna, come nel mio caso, per più di 30 anni giorno per giorno e che gli permette di fare delle previsioni. L’avveramento di quello previsioni crea soddisfazione mentre la mancata realizzazione, delude e incentiva ad approfondire oltre. Un trader che perde è un trader migliore di quello che vince perché memorizza quella realtà che negli altri lavori dimentichiamo. Quando ci si ritrova tra trader, si finisce sempre per ridere sui grandi abbagli e sulle grandi perdite: è un esercizio sano di vita.

Com’era lei come trader?

Fortunato fino a che ho gestito posizioni aggressive e poi molto sfortunato quando ho gestito rischi importanti che sembravano facili. Nassim Taleb direbbe che avrei fatto parte della schiera dei trader giocati dal caso e avrebbe ragione.

Com’era New York ai bei vecchi tempi?

La mia esperienza di New York a metà anni ’90 è stata, come per molti della mia generazione di yuppies, il coronamento di un sogno ma New York era molto più umana di quanto ho potuto constatare solo 15 anni dopo. La finanza aveva un ruolo marginale e in sala trading ci si aiutava: meno matematica e più pratica!

Quali sono i tre episodi a cui è maggiormente legato con riguardo a New York e Londra? Lavoro e non solo ovviamente.

Di New York ricordo il cibo messicano che si mangiava sul desk dei Treasuries il mercoledì: se sopravvivevi, eri un trader che poteva superare ogni avversità. Scherzi a parte, a Salomon Brothers ho fatto uno dei corsi più belli sul trading a cui si potesse accedere in quegli anni. Ho conosciuto personaggi famosi, tra cui l’autore della ‘Grande Scommessa’ e ho imparato a lavorare in team anche con chi non conosceva minimamente il reddito fisso.

Di Londra ricordo i primi giorni in Salomon e il freddo che c’era in sala per l’aria condizionata al massimo sempre. Sembrava di stare in un’altra realtà metereologica rispetto a quella di Milano e anche di Londra. Sopravvivere a quelle temperature, i trader non portavano né maglioncini né magliette, era già di per sé un atto di coraggio.

L’episodio che ricordo di più  sui mercati fu  la crisi messicana dell’autunno del’94. Non c’erano i telefonini e allo scoppio del rischio di default dei Tesobonos, durante la notte londinese, fummo chiamati in sala con il telefono fisso. Alle quattro del mattino di Londra e quindi alle cinque di Milano, la sala di Salomon era quasi al completo come fosse stata mattinata inoltrata. Un’altra lezione sulla dinamicità ed efficienza dei trader che ho imparato e messo via.

Dopo il 2007-2008, gli USA partirono prima della UE con il QE. Gli effetti si sono visti immediatamente nelle differenze di tempo di recupero dalla crisi. Siamo in una situazione analoga considerando le differenze tra USA e UE nella qualità e quantità di stimoli fiscali e monetari?

Penso che la crisi post Lehman sia stata una sorte di accademia operativa sia per la Fed che per la BCE. Con la crisi pandemica quello che le banche centrali avevano appreso in tempi e modi diversi prima, lo hanno messo in pratica in poco tempo, coinvolgendo anche la politica. Non vedo grandi differenze, questa volta è veramente diverso!

È cambiato qualcosa, in modo definitivo, sui mercati con la pandemia?

Sono cambiati i processi di azione /reazione: prima una news globale come la pandemia, come purtroppo era avvenuto con le Torri Gemelle nel 2001 o con la crisi di Lehman nel 2008, avrebbe generato un effetto successivo ancora più pericoloso perché dilatato nel tempo: il fallimento di Enron , ad esempio dopo le Torri  e la crisi dei paesi periferici europei del 2010-11, ad esempio dopo il caso Lehman. Oggi invece questo effetto di contagio si è esaurito nel giro di 5/7 settimane e successivamente gli investitori hanno preso fiducia nella realtà circostante.

Questo nuovo contesto potrebbe forse un giorno cambiare quindi non sono sicuro che sia definitivo ma la fiducia nelle istituzioni americane è molto aumentata: dalla Casa Bianca, al Tesoro e alla  Fed…difficilmente si torna indietro.

Quali sono le sue sensazioni per il futuro dell’Europa?

Buone e migliori di quelle di dieci anni fa. Penso che abbiamo finalmente intrapreso la strada di un possibile completamento dell’unione economica e finanziaria , verso quella fiscale e poi sociale e politica.

E del nostro Paese?

Nel contesto europeo l’Italia è un paese da sempre a rischio, fino dagli anni’70, per instabilità politica ed economica e per le conseguenze sul resto dell’Europa a causa di un possibile rischio debitorio, come abbiamo vissuto nel 2011 e , in misura minore, nel 2018. Però siamo anche il paese che, se guidato bene, può fare la differenza con la crescita europea. La guida del prof. Draghi, ritengo sia di esempio per i partiti politici in tema di miglioramento della serietà con cui affrontare i problemi correnti e futuri. Sono molto positivo al momento e non mi succedeva da quasi 30 anni.

Oltre alle lezioni e agli esami online, il Covid-19 ha apportato altri cambiamenti nelle Università?

Ha  reso più chiara l’idea di fragilità della vita , da un lato e del dono del diritto all’istruzione migliore, dall’altra. Bisogna dare agli studenti più strumenti per difendersi da questa fragilità e renderli anche più consapevoli delle loro qualità. Impegno maggiore da parte di tutti: studenti e docenti per programmi più aggiornati e utili per la futura carriera lavorativa.

Come dovrebbe affrontare un giovane oggi il suo percorso di studi?

Con coerenza e determinazione e soprattutto con maggiore partecipazione alle lezioni: gli studenti sono spesso silenti e invece potrebbero scoprire fatti e quindi potrebbero generare idee e diventare più creativi se osassero un po’ di più .La lezione non deve essere solo apprendimento ma creatività.

E quello lavorativo?

Pensando a ciò che piace fare, facendo sacrifici quando non lo si è raggiunto perché ogni esperienza lavorativa lascia il segno: è tutta esperienza. Avendo pazienza e muovendosi in modo circolare intorno all’obiettivo, faccio un esempio per chiarire. Uno studente laureando vorrebbe fare esperienze di trading ma non trova nulla di adeguato, magari cercando nella consulenza, scoprirebbe che ci sono sviluppatori di programmi e addetti alla relazione con i clienti che sono seduti per grande parte della giornata con i trader di cambi o di obbligazioni. Non è già un inizio per assorbire l’atmosfera di una sala trading e conoscere chi potrebbe aiutarlo ad entrare un giorno in quella sala trading?

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Scritto da Vincenzo Lettieri

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